La tv italiana non nacque il 3 gennaio 1954, bensì il 21 ottobre 1961.
Perlomeno la tv moderna. Ecco perché…
Ovviamente si tratta di una mia piccola provocazione, dovuta all’affetto per Studio Uno (che debuttò appunto quel giorno del ’61) e più in generale per tutte le trasmissioni firmate da Antonello Falqui. Tanto per nominarne alcune:
Canzonissima, Il Musichiere, Al Paradise, Speciale per noi, Milleluci, Giochiamo al variété.
Varietà: l’ispirazione americana…
Lui stesso ha più volte raccontato di come, con l’inseparabile Guido Sacerdote, decise di recarsi negli Stati Uniti per comprendere il nuovo intrattenimento e i suoi meccanismi direttamente nel Paese di maggiore sviluppo.
Come riporta Aldo Grasso nella sua Storia della televisione italiana (Garzanti, 1992)…
Antonello Falqui è stato negli Usa, ha visto spettacoli nuovi, vuole proporli in Italia. Da una pratica in particolare è stato colpito: non c’è più bisogno di scenografie sfarzose, gli artisti si muovono su fondali fatti di grandi spazi bianchi. La telecamera può così far risaltare meglio i corpi delle ballerine, delle star, dei conduttori; si comincia in questo modo a ragionare in termini di linguaggio televisivo. E poi la cosa più moderna, sconvolgente: si vedono in campo gli strumenti con cui si riprende lo spettacolo: telecamere, microfoni, giraffe, luci…
… e lo stile italiano: ecco Studio Uno
Da questi elementi, uniti all’eleganza italiana e alla sapienza di un cuoco d’eccezione, nacque Studio Uno. Grasso parla appunto di modernità: un termine che mi sembra perfetto per indicare un progetto capace di portare sul piccolo schermo la struttura dell’intrattenimento leggero teatrale, adattandola al linguaggio del nuovo mezzo. Non solo un’innovazione, ma una vera e propria evoluzione del varietà.
Il regista stesso, in un’intervista riportata nell’appassionato libro di Ornella Magrini Il re del varietà Antonello Falqui (Zona, 2009), semplifica al massimo la questione:
Ritenevo giusto che si dovesse vedere, che dovessi riprendere l’apparato tecnico. Come a teatro il pubblico riconosce la ribalta o le quinte, così gli elementi presenti all’interno di uno studio televisivo possono diventare spettacolo.
Una scelta che Falqui – da professionista concreto – illustra riducendola all’osso, ma che in realtà è un’intuizione epocale (televisivamente parlando) che segnerà il futuro del mezzo e che è presente ancora oggi. Pochi registi (tra cui quello che è considerato l’erede di Falqui, Giampiero Solari) hanno saputo dare simili contributi alla tv italiana, facendola evolvere in termini di gusto e modernità.
Un assaggio con Luttazzi e le Kessler
Il mio esempio preferito delle scelte del regista romano riguarda l’edizione di Studio Uno del 1966. Si tratta di un numero musicale apparentemente semplice, ma nel quale accadono cose singolari: l’entertainer – crooner – conduttore Lelio Luttazzi volta le spalle al pubblico, guardando uno specchio dietro il quale Alice ed Ellen Kessler assumono diverse posizioni che giocano con il riflesso e con il fatto di essere gemelle. Ma lo specchio rivela anche il pubblico in sala, i tecnici al lavoro, le telecamere.
A metà dell’esibizione, i tre protagonisti si lanciano in un balletto che, in parte, noi spettatori vediamo solo riflesso nello specchio. Una sequenza brevissima, 3 minuti di intrattenimento leggero ma con una costruzione di grande complessità sia tecnica che artistica (si pensi anche al contributo della canzone inedita di Lelio Luttazzi, alle coreografie di Don Lurio, all’orchestra dal vivo). Un numero raffinato e molto curato, che si presenta come qualcosa di semplice e godibile.
Ma qui le mie parole si fanno inutili. Ecco il video dell’esibizione »