Luciano Bianciardi lo teorizzò, Enzo Trapani lo mise in pratica: il presentatore non serve, almeno in TV.
Ecco i motivi di questa provocazione…
Enzo Trapani e Non Stop
Non Stop (sottotitolo: Ballata senza manovratore, appunto), fu il varietà televisivo che cambiò le carte in gioco, rimescolando quanto fatto fino ad allora. Trasmesso dalla Rai da ’77 al ’79, il programma prevedeva una serie di numeri comici e musicali in grado di “autocondursi”.
Un’idea brillante e vincente, supportata da un cast di giovani promesse: Carlo Verdone, La Smorfia (ovvero il terzetto composto da Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro), i Gatti di Vicolo Miracoli (Jerry Calà, Franco Oppini, Ninì Salerno, Umberto Smaila), i Giancattivi (Francesco Nuti, Athina Cenci, Alessandro Benvenuti), Ernst Thole, Zuzzurro e Gaspare, e altri.
Luciano Bianciardi su ABC
Ma Trapani, regista di Non Stop, non era l’unico a mettere in dubbio l’utilità del presentatore. Prima di lui, la cosa venne in qualche modo teorizzata da Luciano Bianciardi, ai tempi della sua collaborazione con il settimanale ABC. Da una parte visionario, da un’altra ingenuo, comunque tranchant, nel 1966 scrisse che
A ben pensarci, un programma di varietà dovrebbe poter stare in piedi anche senza la immancabile figura del presentatore. Ogni spettacolo ben congegnato, infatti, si presenta da solo, e la figura del «coro» nella tragedia classica o del narratore in quelle moderne non si può identificare con l’odierno presentatore dei programmi leggeri.
Il fatto è che tali programmi sono, di solito, un miscuglio di pezzi singoli, per i quali un presentatore funziona da colla. Li tiene appiccicati insieme.
A questa affermazione, aggiunse qualche frecciata ai presentatori del tempo:
Mike Bongiorno è da tempo in licenza, forse in congedo definitivo (non poteva immaginare il seguito, ndA).
Lelio Luttazzi ex musicista assunto a questo nuovo compito: tiene una rubrica per così dire di «archivio», presenta cioè pezzi di repertorio scelti, pare, su indicazione del pubblico. Ha un tic facciale singolarissimo, che forse è un vezzo, e comunque risulta stucchevole. […]
Enzo Tortora, uno dei pochi italofoni nel mazzo dei colleghi, si dedica allo sport alla domenica sera, e neanche è più un presentatore nel senso stretto della parola: semmai un capocronista. […]
Pippo Bando […] non è neanche antipatico, ma è senz’altro un compendio di mediocrità: forse proprio in questo sta la sua fortuna.
I giudizi postivi (ma sempre con riserva), sono per Febo Conti (Chissà chi lo sa) e per i presentatori – protagonisti di Quelli della domenica:
Cochi e Renato, forse un po’ esilini ma molto garbati e con qualche uscita felice. […] Ric e Gian, due comici da avanspettacolo, pronti a recitare qualunque cosa, anche Brecht, come se fossero sulle tavole dell’Alcione. Bisogna tuttavia riconoscere loro il merito di non andare, deliberatamente, oltre questi limiti connaturati. Insomma, non vogliono farci credere d’essere quello che non sono. Ma il personaggio vero è […] Paolo Villaggio. Si sa come agiscono di solito questi presentatori: alcuni blandiscono il pubblico, altri tentano qualche ironia (di solito pesantina, come fa per esempio Corrado). Paolo Villaggio […] dicono che nella vita privata sia fatto in quel modo, aggressivo, impunito e anche un poco cattivello. Meglio così:i baciamani, i salamelecchi, i complimenti reciproci cominciavano a stufare un po’ tutti. Il pubblico dapprima è rimasto un poco esterrefatto, ora comincia a capire. I bambini delle elementari già gli fanno il verso.
Il testo è tratto da ABC (17 marzo 1966), pubblicato in seguito anche nella raccolta Chiese escatollo e nessuno raddoppiò: diario in pubblico 1952-1971, Baldini & Castoldi, 1995.